APPARTENENZA, UN’EREDITA’ CHE SI TRAMANDA DALL’UNDER 13 ALL’UNDER 7 LUNGO LA TRATTA ROMA-MILANO
Penso alle parole che quasi due anni fa mi disse Vieri … “e vedrai quando saranno in stazione ….!”. Se ripenso alla nostra lunga attesa alla stazione Termini non mi viene in mente nient’altro che non siano gli sguardo sorpresi e addolciti delle persone mentre il fiume blu dei nostri giocatori scorreva lungo il binario. La 7 in testa a questo fiume, bimbi quasi nascosti dagli zaini grandi quanto le loro schiene. E poi la 9 e la 11 e la 13 …. Quasi a raccontare come sono e come saranno. E chiudendo la fila della 7 mi sorprendo nel vedere gli sguardi delle persone che si aprono per farci passare e qua e là spunto un sorriso, un commento ad alta voce con un dolce tono. Tutte cose che stonano con la durezza di una stazione quasi incattivita da attese e ritardi. Aveva ragione Vieri … pensavo che i bimbi sarebbero stati emozionati da queste attenzioni ed invece le emozioni erano negli sguardi delle persone che per un attimo si sono addolcite al passare di tanta piccola bellezza.
Non vi racconterò di una cinquantina di bimbi e ragazzi in un vagone, né degli accompagnatori o allenatori alle prese con il loro vociare, ma del mio andare su è giù per quel vagone. Ho due figli nella 7 e nella 9 e li vedo giocare con bimbi della 11 e della 13. Vedo ragazzi della 13 che con fare dolcissimo coccolano il mio più piccolo, ragazzi della 13 che giocano con un bimbo che non ha neanche 6 anni. Vedo un tavolo dove si gioca a scacchi!!! Scacchi con 4 giocatori fra quelli della 9 e della 13.
Era la cosa che più mi aveva emozionato quando la 7 arrivò prima a Rieti: prima della finale venne la 11 e si mise a tifare per i piccoli, con passione, con senso di appartenenza. Lì capii veramente la forza di queste trasferte: non è una squadra che si muove per andare a Padova o Prato …. è LEGACY, TRADIZIONE, APPARTENZA che si trasferisce lungo autostrade o ferrovie. Per un genitore è vedere plasticamente come sono i tuoi figli e come vorresti che fossero …. Ma non devi sforzarti di immaginarlo …. Basta che ti volti su quella carrozza …. A destra o sinistra e vedi volti di bimbi con sguardi che ti bucano dentro e pensi “vorrei che fra qualche anno fossero così”.
Il resto del racconto fra l’arrivo a Milano del 4 giugno e l’arrivo al campo del 5 giugno è uno snodarsi di rituali che ho visto essergli entrati dentro: prendere possesso delle stanze, andare a cena, cambiarsi per la notte (lavarsi i denti …. ma questo lo scrivo senza molta convinzione), svegliarsi e vestirsi subito per andare a fare colazione. Solo poco tempo fa erano novità, ora sono acquisite.
Al campo, c’è una conferma del fatto che alcuni rituali siano acquisiti dalla nostra under 7: i bimbi sanno come si svilupperà il torneo in fase eliminatoria, semifinale e finale …. perché così è stato anche a Rieti, a Terni, a Prato …. È i bimbi se lo raccontano e si narrano delle loro epiche vittorie. Sono quindi pronti, sanno cosa li attende e fanno quello che sanno fare: vincono tutte le partite del girone perché si ricordano che a Padova ne persero solo una … la prima … perché sorpresi dall’agonismo di un torneo.
Questa under 7 impara subito: Vieri gli disse a Padova di placcare basso dopo la prima sconfitta e nessuno praticamente passò più; Fabrizio gli disse a Prato di raccogliere subito il pallone e nessuno prese più il pallone prima dei nostri piccoli; Mattia gli dice di partire subito forte e loro non si distraggono neanche per un istante nella partita di esordio.
E poi la semifinale in cui dobbiamo affrontare ASD Milano: mio figlio si avvicina e per la prima volta mi confessa di avere paura perché li vede più grossi e mi rendo conto che questa volta c’è emozione. E la cosa mi stupisce perché questa squadra è andata a Padova e ha battuto Petrarca A, è andata a Prato e ha battuto Gispi A in semifinale. Ma questa squadra, guidata da Mattia e assistita dal vocione di Vieri, ha una capacità fuori dal comune: sotto pressione non si sgretola e tira fuori il meglio. Una partita da commuoversi per i placcaggi che i nostri piccoli hanno portato. Vinciamo 4-3 con 2/3 placcaggi fatti con coraggio e volontà … quelli che si perdono nel frastuono delle mete fatte ma che in realtà fanno la differenza fra vittoria e sconfitta.
Uscendo passiamo accanto alla 7 di Milano e il loro giocatore più forte stava piangendo fra le braccia del papà. Mi si è stretto il cuore pensando a quella piccola gigantesca sofferenza inconsolabile … E la magia di questa TRADIZIONE e LEGACY che corre lungo un’autostrada o ferrovie si concretizza lì davanti a me quando alcuni bimbi della nostra 7 gli si sono avvicinati e gli hanno messo una mano sulla schiena curva …. Quasi a scusarsi.
E la stanchezza (parlo da quasi 50enne) del viaggio, della notte, del caldo svanisce in un secondo: la stessa dolcezza degli sguardi di chi si sfliava in stazione per farci passare lo ho vista in quel gesto dei nostri verso chi riconoscevano come un “avversario” meritevole quanto loro.
E poi la finale e la netta sconfitta nel risultato. Perché la sottolineo? Perché dopo il 7-1 del primo tempo sono entrati in campo senza mollare di un centimetro … perché Mattia e Vieri li hanno guidati al grido di “Non è il risultato che può raccontare come abbiamo giocato, ma il desiderio, la volontà, la voglia con la quale si gioca che raccontano chi siamo” (comunque il senso era questo!!!). E questa 7 lo ha subito dimostrato: come a Rieti Prato e a Padova ha subito appreso e messo sul campo, sempre avanti, senza arretrare.
E sugli spalti i nostri ragazzi della 9, 11 e 13 hanno fatto tremare l’Idroscalo sulla nostra seconda meta: un boato che sapeva di famiglia, di appartenenza. Mi perdoneranno i genitori se non li ho citati in questa esultanza, ma il fragore delle loro voci ci ha fatto sentire a casa.
E quando alcuni dei nostri bimbi – al fischio finale – si sono messi a piangere ecco il “miracolo”. Una premessa: per alcuni della 7 (fra i quali mio figlio) finora c’erano state solo vittorie e trofei … l’assaporare la sconfitta doveva necessariamente accadere e dovrà essere un momento di crescita.
Ritorno al “miracolo” …. I bimbi si avvicinano agli spalti e vengono sommersi dall’affetto della 9, 11 e 13. Diego viene portato in trionfo, mio figlio viene coccolato da alcuni bimbi della 11 ai quali sembra raccontare la profonda ingiustizia subita. E loro gli fanno i complimenti per la meta. E poi la 9 circonda chi più piangeva e cercava di consolarlo. Affetto disinteressato, famiglia, appartenenza.
E il ritorno? Non vi racconterò dell’aria condizionata largamente insufficiente, del ritardo …. ma di due episodi che mi hanno colpito.
Parlavo un nostro bimbo della 7 e – benché fosse uno dei più tristi per il mancato primo posto – riconosceva nella nostra avversaria la forza dimostrata sul campo: niente astio, nessuna parola fuori posto … il riconoscimento della forza di chi ci ha battuto senza accampare alcuna scusa. Mi ha emozionato vedere quel piccolo bimbo esprimere i primi bagliori del senso dell’ASSUNZIONE DI RESPONSABILITA’.
Il secondo episodio (intervallato dalle continue richieste “quanto manca all’arrivo’”): “la 7 qua” …. “la 9 in fila” … “11 state facendo un po' di confusione”. Anch’io nel mio racconto ho indugiato su “la 7”, “la 9” … perché pur avendo due figli nelle due categorie vedo si riconoscono entrambi nello loro squadre. Prima della semifinale Mattia ha fatto un chiaro richiamo a tutti i nostri piccoli atleti “chi è qui nel cerchio, con questa maglia è vostro fratello …. E in una famiglia ci si aiuta sempre …. Così come sul campo”. E così anche su quel treno …. Dove vedo i miei figli di 6 e 9 anni, mi volto (fingendo di non essere stanco e sudato) verso quei loro fratelli della 11 e 13 e spero dentro di me che un giorno possano essere come quei ragazzi.
La magia di un viaggio come questo: 4 ore (al ritorno di più) in cui fa un viaggio nel futuro e vedi (non immagini) come potrebbero essere i tuoi figli fra qualche anno …. E il cuore si riempie di ottimismo …. l’ottimismo della volontà, dell’impegno, del desiderio, della passione, della perseveranza che gli allenatori dei nostri piccoli sanno loro trasmettere in ogni cerchio.
Un cerchio che si è chiuso: i nostri bimbi che consolavamo il numero 3 di Milano con una leggera mano sulla spalla, Mattia e Tommaso che venivano consolati dai ragazzi della 9, 11 13 con una carezza sui capelli (con Piombo troppo facile!).