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U13: Quanto aspettavamo questo momento

E poi ci sono loro, quei 16 ragazzetti belli come il sole, che ormai dei bimbetti hanno poco o nulla perché sono alti quanto te e parlano come se avessero ingoiato un grammofono, che ancora fanno pipì alla siepe solo che ora la siepe non li nasconde più, che da ieri sono un pezzetto più grandi, un pezzetto più consapevoli, un po' più gruppo, un po' più amici.

Un sibilo appena percepibile, poi un frastuono assordante e infine un’esplosione talmente potente da impressionare anche i più ruvidi di cuore.

È stato un fuoco d’artificio il nostro Bottacin del 1 maggio di quest’anno, una bomba di emozioni da accapponare la pelle, da spezzare il fiato, da far tremare le ginocchia, da sentirsi male insomma! E per qualcuno c’è mancato poco davvero! Perché se arrivi a giocare la finale al Memo Geremia di Padova dove l’erba cresce anche senza irrigazione, dove il legno degli steccati non marcisce mai, dove i pali sono più delle farfalle e le tavole restano apparecchiate anche se il vento soffia minaccioso, qualcosa di buono devi averla pur fatta, qualcosa di incredibile, qualcosa che verrà ricordato per sempre!

È l’under 13 anno 2009/2010, la 13 sopravvissuta a due anni di chiusure, limitazioni e privazioni, la 13 che non gioca un torneo da tre anni, che si è allenata solo previo tampone, senza contatto e poi solo con tripla dose di vaccino.

È la 13 di tre allenatori che più diversi non si può: uno in campo ieri, serio, schivo, di poche parole, ma quelle giuste, che ti danno il coraggio di schierarti davanti a un muro nero senza crepe e la lucidità di trovare quell’unica fessura per farlo cedere in un mucchietto di polvere; dell’altro, sorridente e spensierato, con la battuta che fa sempre ridere, ieri prestato ai più piccoli che seguiva con gli occhi, ma le orecchie tese verso quella voce dall’accento inconfondibile che ad intervalli regolari aggiornava il tabellone. E poi il più giovane, il GGG, impegnato nella sua partita della domenica, ma se avesse potuto teletrasportarsi… al punto che poi a mezzanotte passata si è materializzato davvero al campo per accogliere i suoi ragazzi tornati vittoriosi come fosse uno di loro.

E poi ci sono loro, quei 16 ragazzetti belli come il sole, che ormai dei bimbetti hanno poco o nulla perché sono alti quanto te e parlano come se avessero ingoiato un grammofono, che ancora fanno pipì alla siepe solo che ora la siepe non li nasconde più, che da ieri sono un pezzetto più grandi, un pezzetto più consapevoli, un po’ più gruppo, un po’ più amici.

Ma ci sono anche i genitori, quei pazzi sfegatati oggi tutti senza voce, che hanno guidato per ore e che si son ritrovati felici per le vie del centro riconoscendosi dal quadrifoglio sul cuore. Che hanno fatto l’alba tra spritz (che si sa che a Padova costa meno del cappuccino) e folperia, che hanno posticipato i treni pur di godersi l’ultima partita,la finale, anche se in campo non c’erano i loro figli. È stata anche la nostra trasferta e quanto ci è mancata!!

La deflagrazione ha spazzato via tutto… è tornata l’euforia, una specie di ubriachezza d’amore rugbystica che ci accompagnerà fino alla fine della stagione.

C’è una cosa che mi sono sempre chiesta: perché chi ha giocato a rugby non si sente mai ex giocatore e perché quel legame tra compagni resta anche se a rugby non ci giochi più.

Beh, credo sia una specie di magia, l’ennesima legata a questa benedetta palla ovale, ma le giornate come ieri sono la polvere magica che rende tutto possibile!

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